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sabato 29 settembre 2018

Hawaii, uragani, e animali vari

Avete presente quando devi andare in un posto molto figo e dici "Oh, sembrava le Hawaii!"

Ecco, io alle Hawaii ci sono andata e ve lo posso confermare. E' un posto figo. Se avete occasione di andarci invece che andare, che ne so, a Lambrate, giuro che ve lo consiglio




(E prima che mi piova addosso tutta la vostra giustissima invidia: ora sono a Mordor con addosso la felpa con il cappuccio e le calze di lana, e fuori c'è proprio il tipico clima da futuro distopico iper-industriale)

La cosa figa delle Hawaii è che c'è tutto quello che una persona può volere da una vacanza: le spiagge meravigliose, i parchi naturali con montagne e canyon, cenni storici perché le isole sono un po' state conquistate da chiunque, i paesini carini, la gente che parla una lingua affascinante e insolita (l'Hawaiano) ma anche inglese, e tutti gli Starbucks che vuoi perché è America.


Adoro anche il fatto che la maggior parte delle spiagge sono libere e non tanto affollate, perché per qualche motivo che non comprendo la gente va alle Hawaii per starsene nei resort di lusso con la piscina affittando delle capannette con anche la TV. Perché chiaramente ha senso andare alle Hawaii per guardare Netflix.

Purtroppo, visto che è America, è vietato bere all'aperto e tutti vanno a cena alle sei, e io ero sulle spiagge più belle del mondo e non potevo bermi l'aperitivo.



Oltre a questa grande tragedia, c'è anche un altro problemino: le Hawaii sono vulcaniche e a volte i vulcani eruttano. Quando ho prenotato e giravo pavoneggiandomi con cani e porci e dicendo "Oh, dove vai in vacanza? In Liguria? Io alle HAWAII!!", la gente mi faceva (giustamente) notare con astio che ci stava un vulcano attivo che stava eruttando.

Ma io, furba, li ho fregati e ho prenotato per Maui e Kauai, che non sono vulcaniche.

Solo che il destino, o meglio, la Maledizione di Lufthansa che mi porto dietro da Francoforte, ha fregato me, ed è arrivato un URAGANO.

Quando sono iniziati il vento ed i cavalloni eravamo nell'isola di Kauai. Appena arrivati, ci siamo accorti che Kauai era piena di polli. Polli selvatici, arroganti, che giravano coloratissimi e pasciuti assaporandosi la libertà. Ci è stato detto che questo proliferare di polli è dovuto proprio ad un uragano, che ha distrutto tutti i pollai e da allora i polli vivono liberi e felici.




Non so se sia vero, ma la storia mi piace. E, chiaramente, mentre ero li nessuno di noi ha ordinato pollo in segno di rispetto per i nostri nuovi amici pennuti. Ci siamo limitati a prendere dei tipici antipasti, che, con una sfortunata scelta di parole, in Hawaiano si chiamano PUPUS.
E, ovviamente, la pizza Hawaii con l'ananas. 

Questa volta l'uragano, oltre ad attirare un'orda di surfisti che si schiantavano malissimo sotto i cavalloni, ha portato le foche monaca.



Nella spiaggia dell'hotel hanno iniziato a venire grasse e pasciute fochine che dormivano placide. All'inizio temevo stessero male, ma dei volontari per la protezione delle foche (praticamente la versione hawaiana e figa di quelli che da noi fanno attraversare i rospi) sono venuti a mettere dei paletti spiegando che erano solo spiaggiate perché stanche




Ci sono solo 1200 esemplari di foca monaca nelle Hawaii ed è infatti una specie protetta. Le foche sono uno dei motivi per cui Obama ha dichiarato un'ampia zona di mare riserva naturale, quand'era presidente (poi è arrivato il testicolo con il parrucchino e appena si accorge che le Hawaii sono parte degli Stati Uniti e che Obama è nato li e non in Kenya probabilmente si metterà a picchiare personalmente le fochine cucciole).

Considerando quanto sono rare le foche, mi reputo molto fortunata ad averne viste cinque. 

Ho scoperto che hanno una lieve peluria un po' cenciosa su tutto il corpo che cambiano nel fare la muta, e che quando ti avvicini troppo e le disturbi nel sonno fanno degli starnuti per scacciarti.

Anche io voglio che dei volontari proteggano il mio sonno sulla spiaggia, e voglio scacciare gli estranei starnutendo.

Assieme alle foche sono arrivate in hotel anche le tartarughe



Possono essere anche piuttosto grosse, fino ad un paio di metri. Anche loro si riposano sulla spiaggia e il resto del tempo mangiano cose sulla barriera corallina.



Quando l'uragano è passato e abbiamo potuto fare snorkeling, abbiamo visto tartarughe in acqua praticamente tutti i giorni. A volte erano in prossimità degli scogli, a volte a riva con l'acqua bassissima. Ci abbiamo anche nuotato assieme. Ed è vero che sono animali carinissimi e per nulla aggressivi, però trovarti la loro faccia da animale preistorico che è grande come la tua a dieci centimetri un po' ti inquieta.

Una sera, mentre camminavamo, un tale di un'agenzia turistica ha tentato di venderci un giro in barca. "Potrete anche vedere, pensate un po', le tartarughe!"
Gli abbiamo fatto notare che a momenti le tartarughe ci entravano pure in stanza da tante che ce n'erano.

Oltre a foche e tartarughe c'erano centinaia di pesci bellissimi che neanche Nemo, e dei giganteschi lumaconi bavosissimi



Mandata la foto alla mia amica francese, lei ha subito commentato: "Appetitosa!"

Alle Hawaii però non mi risulta si mangino lumache. Ciò che ho visto sono famiglie arrivare in spiaggia con dei giganteschi furgoni, estrarne tutto l'occorrente per il barbecue, e poi mettere sullo spiedo UN MAIALE INTERO

Giuro non riderò più degli italiani che si portano le lasagne al mare.

In generale, dopo aver vissuto tra gli orsi che volano, sono assolutamente soddisfatta di tutti gli animali incontrati alle Hawaii.

E la maledizione che ha portato l'uragano non ci ha disturbato le vacanze più di tanto, se non costringerci ad un paio di giorni in camera a leggere il Libro di Mormon (che, per qualche motivo, era sul comodino al posto della Bibbia). 

E ora vado ad infilarmi come una larva sotto le coperte, che aver guardato le foto delle Hawaii mi ha fatto ricordare con immensa tristezza che vivo a Mordor




domenica 9 settembre 2018

La Maledizione di Lufthansa


Certe volte ho degli incubi dove devo andare da qualche parte e non riesco perché non ci sono i voli, arrivo in aeroporto ma non trovo nessun aereo, e so di essere in ritardo per un evento importante ma nonostante i miei sforzi non riesco a trovare una soluzione. Mi sveglio orribilmente frustrata e mi dico “Calma, Giupy, è solo un sogno, non succederà mai”

Tranne quando, ovviamente, è successo.

Arrivo con Compagno & Colleghi all’aeroporto per andare in Colorado, ad una conferenza. Per me non è un viaggio di lavoro, è molto di più: tornare dopo due anni dove ho fatto il dottorato, rivedere delle persone molto importanti e poi, già che c’ero, andare alle Hawaii.


A Dusseldorf, mi fermano per un controllo a campione per vedere se ho gli esplosivi. “Si vede che sembri una terrorista” mi fa notare la mia collega Marocchina, e sì che non avevo ancora quel color cioccolato che ho adesso dopo due settimane di Hawaii.
Risulta che ho degli esplosivi in borsa. Mi innervosisco e preoccupo: ho molti difetti, lo ammetto, ma essere una bombarola non è ancora tra questi.
Però il bradipo della sicurezza (perché come già ho spiegato, certi lavori in Germania sono subappaltati a questa simpatica specie di animali pelosotti) mi rassicura: ci sono molti altri oggetti che possono contenere materiali che assomigliano agli esplosivi, tipo computer, o e-book reader.
Nel mio caso, era il mio beauty con i trucchi Kiko.
Me ne sono andata contenta di non essere spedita a Guantanamo, e lievemente preoccupata al pensiero di quello che mi spalmo in faccia.

Voliamo fino a Francoforte, e lì ci mettiamo in fila per il controllo passaporti. La fila è lunga. La fila è lenta. La fila non si muove.
Ci chiediamo cosa succede, finché non arrivano dei bradipi alla sicurezza che iniziano a sussurrare piano che bisogna uscire dall’aeroporto. Non c’è nessun annuncio, solo gente che lentamente inizia ad allontanarsi dai gates seguendo i bradipi. Il controllo passaporti è chiuso, i gates sono chiusi e tutti i negozi si svuotano. Un aeroporto fantasma.

Seguiamo la massa di gente, e ci ritroviamo nell’area check in dell’aeroporto. I tabelloni con i voli sono impazziti e non abbiamo idea di quando partirà il nostro aereo. La gente si accalca sempre di più, non possiamo uscire e non possiamo muoverci. I bradipi dell’aeroporto non ci danno nessuna informazione ma cioccolato e patatine, probabilmente perché sono convinti siamo dei bambini in bisogno di iperattività e presso la loro specie questa è la procedura da seguire.

Lufthansa ci manda un messaggio sul cellulare dicendo che FORSE c’è qualche problema


Decidiamo di fare una fila interminabile al banco Lufthansa, la nostra compagnia. La gentilissima bradipa ci dice che l’aeroporto è stato chiuso per un controllo di sicurezza, ma di avvicinarsi al gate il più possibile che presto riapriranno e noi partiremo per Denver.

Purtroppo, ella mentiva.

Quando proviamo ad avvicinarci ai gate con un gruppo di persone che, come noi, era stato così istruito dalla gente Lufthansa, veniamo bloccati da una massa di poliziotti. Per dei motivi che non so spiegarmi questi hanno in media dodici anni e mezzo e sono molto nervosi. Credo che il nervosismo derivi dal non sapere cosa fare e dal non avere ancora raggiunto la pubertà. Un biondino con riga da parte inizia a sbraitare in tedesco in quel modo che si vede solo nei film sulle SS, e ci intima di tornare ad ammassarci nell’aerea check in.
Lo facciamo, e vedo una madre sola con tre figli allattare in piedi in mezzo alla ressa, sorridendo.
Ella è da questo momento il mio eroe.

Scopriamo dalle news su Internet che la motivazione della chiusura dell’aeroporto è un problema di sicurezza. Apparentemente, una famiglia francese è arrivata al gate senza aver passato il controllo di sicurezza.
O meglio, l’ha passato, ma, come me, è risultata positiva agli esplosivi.
Il bradipo addetto alla sicurezza, probabilmente lo stesso che ho trovato io, ha deciso che doveva trattarsi di un computer o dei trucchi radioattivi della Kiko.
Li ha fatti passare lo stesso.
Poi, in un momento di epifania, si è detto “Oh cazzo! E se fossero dei bombaroli davvero?”
E lì si è chiuso l’aeroporto per cercare di catturarli.

Apparentemente, però, i bradipi di Lufthansa non avevano alcuna procedura per gestire questa cosa, e quindi hanno scelto una facile strategia: la menzogna.

Così, una volta compreso che il nostro volo non sarebbe mai partito, facciamo una fila lunghissima al banco Lufthansa dove un bradipo ci ha dato dei biglietti per il volo del giorno successivo. Chiediamo di riavere le valigie che avevamo imbarcato la mattina, ma non è possibile perché le Sacre Procedure dicono che non si fa.
Così ci danno dei beauty case con dentro spazzolino, dentifricio, e una maglietta bianca per grandi obesi taglia XXXXXL. Niente mutande, perché evidentemente Lufthansa non reputa importante cambiarsele tutti i giorni.
In compenso, c’è la vaselina, per scopi che ancora non so spiegarmi.

Ci mettono su un taxi e ci spediscono a Wiesbaden, un luogo ameno fuori Francoforte. Fiduciosa, vado a cena nell’albergo, sperando di mangiare qualcosa che non sia patatine o cioccolato.
Il cameriere però ha dei disturbi mentali e mi insulta pesantemente quando gli dico che sono celiaca e che no, non posso mangiare la pasta. Mi lamento con la receptionist che dice che purtroppo non mi darà da mangiare ma mi offre una bevanda alcolica, cosicché possa dimenticare le mie sofferenze.


La mattina dopo, indossando le magliette da grandi obesi sulle quali volevamo scrivere “Lufthansa ti odio”, arriviamo di nuovo in aeroporto. Siamo tutti stanchi, e io un po’ hangover. Andiamo fiduciosi verso il nostro volo, quando scopriamo che in realtà il nostro non è un vero biglietto. E’ solo una lista d’attesa. Ci sono circa 50 persone sulla lista d’attesa, e il volo è, pensate un po’, pieno.
Dalla lista d’attesa vengono selezionati secondo non si sa quale criterio i coniugi Olsen, gli unici che potranno partire. Uno dei miei colleghi finge di chiamarsi Olsen per essere imbarcato al loro posto e la cosa non funziona, però ora è il suo soprannome.

Una donna piange disperatamente.

Chiediamo ai Bradipi del banco Lufthansa che non sanno dirci quando potremo imbarcarci. Ci indirizzano ad un altro banco. Ma mentono.

Dove facciamo una coda di ore, e poi ci indirizzano ad un altro banco. Sempre mentendo

Dove facciamo una coda interminabile, e poi ci dicono di andare da un’altra parte. A questo punto non speriamo più che l’informazione sia corretta.

Tutto questo nutrendoci solo di cioccolato e patatine che i bradipi ci lanciano, e inframezzato da numerosi controlli di sicurezza tra una zona e l’altra dell’aeroporto, nei quali io risulto quasi sempre positiva agli esplosivi. A volte è il computer, a volte i trucchi di Kiko, a volte inizio a sospettare di essere davvero una bombarola.

E’ però un incredibile esercizio di team building. Io e i miei colleghi ci raccontiamo tutte le nostre vite, condividiamo i segreti più intimi, ci vediamo nei momenti più bassi, e ora siamo amici per la pelle.

Arrivati a sera troviamo finalmente una bradipa che ci da una buona notizia: abbiamo sette posti per il volo del giorno dopo per Denver.
“Grazie!” gridiamo noi entusiasti “Prenotali!”
Però lei per ragioni a noi misteriose e che sono scritte nelle Sacre Procedure non può prenotarli. E poi sta per staccare. Ci dice di andare ad un altro banchetto, chiama la sua collega e ci dice che ci farà la prenotazione.

Purtroppo, ella mentiva.

La collega bradipa, infatti, ci dice che i sette posti non ci sono più. Nel tempo di spostarci da un banchetto all’altro sono tutti scomparsi, proprio come la nostra fiducia e gioia di vivere. Così ci dice che dovremo viaggiare tutti separati, alcuni il giorno seguente, alcuni due giorni dopo. Con il suo lentissimo dito inizia a mettere i dati di ciascuno di noi nel computer, proponendoci dei comodi cambi: “Ma andare a Denver passando da Kuala Lumpur e andando a dorso di mulo fino ad Hong Kong?”
Al grido di “Love wins”, però, io e il compagno riusciamo a viaggiare assieme.

Ci ridanno le nostre valigie (era, apparentemente, possibile) e ci mandano in albergo ad Offenbach, un posto così isolato che i miei amici che hanno passato li due giorni avevano come unico posto in cui mangiare Mc Donald’s, dove hanno consumato tre pasti per variare da cioccolato e patatine. Ora sono della taglia giusta per la maglietta da grande obeso.

Il giorno dopo, stavolta con mutande pulite, torniamo a Francoforte. Ormai conosco l’aeroporto come le mie tasche e inizio a sudare e tremare appena entro, dal tanto mi evoca brutti ricordi.
Una bradipa della Lufthansa, sentendo le nostre disavventure, dice che meritiamo una compensazione e ci da un buono di dieci euro per mangiare qualcosa che non siano cioccolato e patatine. Con dieci euro all’aeroporto di Francoforte si comprano più o meno due bottigliette d’acqua e qualche caramella.
Ci imbarchiamo io e Compagno per Londra, e il volo è in ritardo.

A Londra, corriamo come dei forsennati per non perdere la coincidenza. Ancora una volta decidono di controllarmi alla sicurezza perché assomiglio ad una terrorista e la bradipa che si occupa della mia valigia ci mette circa 45 minuti. Solleva ogni boccetta di shampoo e lo rigira tra le lunghe unghie, mentre io vedo che il mio volo si avvicina e sto impazzendo. Ho un qualche rimpianto all’idea di non essere davvero una bombarola.

Solo che le mie angosce erano vane perché il secondo volo, per Washington, è anch’esso in ritardo. Saliamo già sapendo che dobbiamo passare una notte a Washington e davanti a noi si siedono dei rednecks che subito tirano indietro i sedili schiacciandoci.

Però già possiamo gioire: siamo sfuggiti dalle grinfie di Lufthansa perché ora si tratta di British Airways. Quando spiego che devo mangiare senza glutine mi danno il cibo della prima classe, e appena arrivati a Washington un’impiegata gentilissima ci aspetta dopo i controlli passaporti con già pronto il voucher per l’hotel.

Tutto così liscio che non si direbbe neanche che questa sia la terra di Trump.


Nel bar dell’hotel possiamo spendere 100 euro di cibo offerto da British Airways, ma è tardissimo e possiamo prendere solo dei succhi. La mattina dopo sono tentata di offrire un cappuccino a 30 homeless per usare tutto il buono, ma purtroppo l’albergo è talmente isolato che non si trovano neanche loro.

In aeroporto ci dicono che siamo su una lista di attesa, ma in pochissimo tempo, probabilmente alla vista della bava schiumosa verde che mi sta uscendo dalla bocca, ci confermano il biglietto.

Arriviamo finalmente in Colorado, la terra più bella del mondo.


Ho perso quasi tutta la conferenza, non ho potuto vedere alcune persone a cui tenevo, e con altre ci ho passato un solo giorno, ma… non c’è nessun ma. E’ stato orrendo e spero che Lufthansa venga soppiantata da un servizio di unicorni volanti velocissimi che producono zucchero filato e MAI cioccolato e patatine.

Poi però abbiamo potuto lo stesso passare del tempo in America e fare una splendida vacanza, anche con i miei colleghi che adesso sono diventati i miei migliori amici, soprattutto Olsen.

E in una cittadina del profondo Colorado costruita ai tempi dei cercatori d’oro e minatori, in un albergo con saloon rimasto uguale dal 1890, ci mettiamo a bere una cosa con una donna che stava andando a piedi con suo padre da Denver a Durango in sei settimane e che di lavoro fa nascere i bambini in casa.
“Io ho vissuto in Germania” ci dice, tutta contenta “A Wiesbaden. Ci siete stati?”
Ordino subito un altro bicchiere.


In tutto questo, la morale è che ora farò causa a Lufthansa per tutti i soldi che ho perso con le prenotazioni degli alberghi saltate e anche marginalmente per il fatto che tenere le genti tre giorni in un aeroporto tra bradipi e cioccolato non è esattamente salutare.

Tuttavia, la storia non è finita, perché pare che Lufthansa ci abbia appiccicato addosso una sorta di maledizione, a tutta la famiglia:
-       Dopo un viaggio di ritorno che contemplava tre voli di cui due voli intercontinentali in due notti e dieci ore a Denver, Compagno è dovuto andare a Bruxelles e poi di nuovo in Germania, viaggio che ha fatto, per un guasto al treno veloce, su un BUS DI LINEA.
-       Io avevo un biglietto andata e ritorno per andare a Parigi. Non ho potuto prendere l’andata perché ho dovuto viaggiare in un altro modo, e di conseguenza Air France mi ha cancellato anche il ritorno
-       I miei genitori su un altro volo sono rimasti bloccati un’ora perché il pilota aveva sbagliato la manovra e non poteva aprire le porte.

Perché è importante sapere che alla sfiga non c’è necessariamente fine.