Sono orma settimane che
sto nella mia caverna. Ogni tanto guardo il cielo grigio di Mordor dall’uscita
rocciosa, a volte mi capita di veder volare un Nazgul. Ho la pelle ormai
squamosa, se ci fosse luce probabilmente mi vedrei grigia, come le pareti della
caverna. Sono sicura di essere in grado di parlare, ma è da tanto che non sento
il suono della mia voce.
Ma ormai il giorno è
arrivato. Ho finito il mio libro
(Lo so, lo so, la parola
“libro” desta subito ammirazione. Come Piccole Donne! Come Jane Eyre! Come
l’Amica Geniale! No. E’ un libro accademico, di cui mi daranno il 5% delle
vendite. A giudicare da quanto mi aspetto che venda, farei forse meglio a chiedere cinque euro ai miei genitori)
Sto scribacchiando le ultime
righe, quando con terrore mi accorgo di una cosa. Devo consultare un libro per
una citazione. Mi infilo veloce il cappello verde di Robin Hood e cerco di
scoprire se il libro esiste da qualche parte in rete, fino a rendermi conto
velocemente che ho solo una soluzione:
Andare nella biblioteca
dei Bradipi.
Esco nella nebbiolina di
Mordor, una lieve pioggia mi bagna le squame sul viso. A testa bassa e cercando
di respirare mi avvio verso la giungla dei Bradipi, pronta ad affrontare ancora
una volta la burocrazia crucca.
Arrivo sorridente al
banco della biblioteca, dove un Bradipo mi saluta cortese.
“Non puoi portare quella”
dice, indicandomi la borsa.
Certo, mi dico. Hanno
paura che io rubi un libro sui cocci di terracotta trovati a Vaffanculandia del
secolo terzo prima della nascita di Cthulhu.
(In alcune università per
questo motivo gli studenti girano con borse trasparenti, ammesse nelle
biblioteche. Prima o poi vorrei passare un pomeriggio all’entrata di queste
università e vedere quanti giornaletti porno, mutande usate, vibratori,
assorbenti, spillette dell’Afd, copie del libro di Trump riesco a vedere)
Chiedo al Bradipo dove
posso lasciare la borsa, e lui mi indica un vago punto nel corridoio.
Arrivo davanti ad una
fila di coin lockers. Sono quasi tutti presi, ma ne trovo uno minuscolo libero.
Apro, prendo computer e un paio di altre cose dalla borsa, e provo a
richiuderla.
Non si chiude.
Mi accorgo che bisogna
metterci dentro la monetina come i carrelli dell’Esselunga.
Ma i cinquanta centesimi non
vanno bene. Neanche un euro. Ce ne vogliono DUE.
Senza scoraggiarmi,
rimetto tutto in borsa, prendo la borsa, e torno dal Bradipo della biblioteca a
chiedere dove posso cambiare i soldi. Mi indica vagamente un bar di fronte, da
cui escono degli strani fumi mefitici.
Entro al bar, faccio la
fila e mi trovo davanti ad un Bradipo, che mi chiede gentile cosa voglio
“Cambiare i miei soldi”
dico con un sorriso.
Il Bradipo mi indica
lentamente con la lunga unghia un cartello piccolissimo vicino alla cassa che
dice “noi non cambiamo i soldi”
“Prendo un caffè allora”
dico in fretta.
Il Bradipo fa un cenno al
collega, che si mette a girare in un calderone acqua, caffè, latte, scorie
radioattive, melma, e persone tritate. Mi pone poi un beverone fumante che esala
gli stessi odori dei canali di Venezia.
“Posso berlo in
biblioteca?” chiedo io, sapendo già quale sarà la risposta.
Il Bradipo sta ancora
scuotendo la testa in un “no” mentre io mi metto in un angolo a sentire la
brodaglia calda che, bruciante, mi scende nello stomaco, tenendo ben stretti i
miei due euro di resto.
Vado al coin locker,
infilo la borsa, tiro fuori il computer ed altre cose, infilo i due euro, e
chiudo. Il Bradipo della biblioteca, però, ha ancora qualcosa da obiettare.
“La giacca”
“Bella vero? L’ho presa
con i saldi, ultima moda a Barad-dûr…”
Da come oscilla il capo,
comprendo che vuole che me la tolga.
Perché chiaramente sarà
pieno di gente che il libro sui cocci di Vaffanculandia se lo mette sotto la
giacca. Oppure è scritto nelle Sacre Procedure e, violandole per farmi entrare
con la giacca, il bradipo potrebbe morire.
Torno al coin locker,
apro, spingo dentro la giacca, pressandola bene negli angoli polverosi tenendo
nel frattempo computer ed altri oggetti sotto l’ascella, chiudo bene con una
liana e torno dal Bradipo della biblioteca.
Mi chiede il tesserino,
che passa lentissimamente sotto uno scanner.
“Devi restituire un
libro. Sei in ritardo” sentenzia.
Al che mi vengono in
mente le email in Tedesco che ho ignorato mentre ero nella mia caverna a
scrivere. So di aver sbagliato, ma ci pensa il destino a punirmi: il libro è
chiaramente nel coin locker.
Dopo un altro viaggio per
il corridoio, torno dal Bradipo della biblioteca con il computer sotto
un’ascella, la penna in bocca, il bloc notes in testa, e il libro sotto l’altra
ascella.
“Ecco il libro” dico.
Il Bradipo mi guarda in
silenzio, per poi dire, lentamente “sono cinque euro”
Rimango stupita. Non
dalla multa che, in Germania, mi sembra perfettamente normale. Ma dalla compostezza
del Bradipo. Io ho mancato di rispettare le SACRE LEGGI DELLA BUROCRAZIA e lui
non mi dice nulla? Mi lascia andare così, senza farmi sentire una nullità,
un’idiota, un pericolo vagante per la società perfetta?
Gli porgo velocemente i
cinque euro scusandomi a mezza voce per la mia stupidità, in modo preventivo.
Il Bradipo increspa
lentissimamente le labbra in un sorriso, e mi indica La Macchina.
Al che capisco perché non
ho avuto nessuna punizione verbale: il sistema ha già trovato un metodo per
punire i traditori della biblioteca.
La Macchina serve per
pagare le multe sui libri che molti studenti usano per scrivere le loro tesi.
C’è però un paradosso di fondo: per usare La Macchina bisogna già aver scritto
una tesi ed avere almeno un dottorato.
Serve infatti inserire
una stringa numerica che fa invidia a Fibonacci che va dedotta da un foglietto
unto che il Bradipo si era probabilmente messo nel naso poco prima di darmelo.
Io, fortunatamente, un
dottorato ce l’ho e così riesco a comprendere il funzionamento de La Macchina e
ad inserire i cinque euro al suo interno. Dietro di me nel frattempo si forma
la fila, ma nessuno sembra preoccuparsene, perché sono tutti Bradipi e sanno
fare le cose con calma.
Torno dal Bradipo e gli
mostro trionfante la ricevuta che mi ha dato La Macchina.
Per la prima volta mi
sembra soddisfatto, e mi lascia entrare nella biblioteca, passando sotto al
metal detector che chiaramente serve a scovare chi tenta di rubarsi una vergine
di ferro dalla sezione medievale.
Mi inizio ad aggirare tra
gli scaffali, con il computer sotto l’ascella e tutto il resto. Saltello su
delle ninfee, aggiro delle paludi, mi arrampico su delle palme finché,
finalmente, davanti a me, si erge il libro che mi serve. Lo afferro mormorando
“il mio tessssoro!” e facendo cadere il bloc notes che stava sotto l’ascella,
quando mi accorgo di un problema:
Per prendere il libro
dovrò tornare dal Bradipo e ricominciare un’altra trafila burocratica per il
prestito.
Mi guardo in giro, sento
il bisogno impellente di avere una borsa per infilarci il libro, un cappotto,
un qualcosa che mi permetta di portarlo fuori di nascosto.
Sospiro tristemente: i
Bradipi con le loro regole sono stati più furbi di me.
Guardo con invidia il
superciccione che sotto il maglione potrebbe nascondere tutta la treccani e la
ragazza Musulmana che sicuramente può infilarsi tutti i Testamenti sotto il
velo.
Ripromettendomi di
ingrassare o convertirmi, decido di consultare il libro in loco, sedendomi nel
sottobosco. Dopo una decina di minuti la trovo, la citazione che mi serve, apro
febbrilmente il computer mentre un paio di Orchi mi scavalcano per gettarsi in
una palude fangosa.
Ma io non ci faccio caso,
perché con trionfo inserisco l’ultimo numero di pagina nel file e il mio libro
è finito.
E’ tempo di salutare il
Bradipo e uscire, sentendomi non più un mostro grigio ma una bellissima falena
(sempre grigia, eh, perché non è che a Mordor ci siano i colori).
Ah, sospiro, finalmente
posso godermi un po’ di vacanze, lontano da Mordor, lontana dai Bradipi.
“Il volo per l’Italia è
in ritardo di un’ora perché sull’aereo da Manchester c’era un hooligan che ha
votato Brexit e che si è messo a fare cose che l’hanno portato all’arresto,
quindi ora i voli sono tutti ritardati, come vogliono le Sacre Procedure” mi
dice, sorridente, il Bradipo dell’aeroporto.
Ma questa è un’altra
storia.
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RispondiEliminaSe ti può consolare non è solo in Germania che le cose funzionano così. La burocrazia ceca è ugualmente allucinante (ma, del resto, Kafka aveva tentato di avvisarci...)
RispondiEliminaAnche Max Weber l'aveva detto, ma noi stolti che non davamo retta...
EliminaIo però ti invidio per la pazienza, io probabilmente l'avrei persa che va bene le regole, ma dire tutto insieme e dotarsi di una macchinetta per cambiare i soldi è chiedere troppo?
RispondiEliminaNon lo so, io rido perché ci ho perso (giuro) due ore...
EliminaAspetta aspetta. Vuoi dire che nelle social sciences vi fanno dei contratti per monografie che prevedono che vi arrivino dei SOLDI? A noi una pacca sulle spalle e un buono per una merendina alle macchinette. (Oh, pero' ti serve per far carriera! O meglio, servirebbe. Se ci fossero posti di lavoro).
RispondiEliminaSi, lo fanno certe case editrici... il mio compagno per esempio ha il 5% delle vendite dopo i primi 100, ma essendo che il libro parla di un argomento estremamente settoriale e costa 150 euro per ora (dopo due anni) ne ha venduti 42. Cmq è fondamentale, pensa che sti maledetti tedeschi finché non pubblichi neanche ti chiamano dottore perché considerano che il tuo dottorato non è valido! (E spesso quindi vanno da case editrici che addirittura si fanno pagare, ma non duecento euro, tre o quattromila...)
EliminaSì, pure a storia pubblichiamo, ma non ci pagano... Anzi, se ci sono tante immagini dobbiamo pure trovare external funding, se no le case editrici rognano.
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