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giovedì 26 ottobre 2017

#MeToo: Il mio incontro con il Caimano

Era l'anno 2010, avevo 24 anni e stavo a Venezia. Gli Stati Uniti sfoggiavano fieri il loro primo presidente nero, noi stavamo iniziando ad appassionarci a Facebook, la primavera araba non era ancora inizata e Mubarak si preoccupava per quella nipote sfuggita in Italia. 

Io stavo finendo la tesi della specialistica e lavoravo ogni tanto come hostess. La mia giovane mente protofemminista non faceva i salti di gioia ad essere selezionata sulla base del "metro e settanta, taglia 42, sorriso" per spruzzare profumi nei centri commerciali arrampicata sui tacchi. D'altronde, non ero neanche particolarmente entusiasta ad essere una quasi neo-laureata nell'Italia della cris. Trovare solo lavori non pagati nonostante i 110 e lode, gli stage, e le quattro lingue sul curriculum non mi facevano esattamente pensare di avere davanti a me porte aperte e tappeti rossi.

Un giorno trovai un annuncio di un'agenzia che cercava hostess per un convegno. Oltre ai requisiti fisici chiedevano inglese, francese, e esperienze di un certo tipo. Mi presentai al colloquio, incredula che, per una volta, qualcuno fosse interessato al fatto che avessi appena finito uno stage in un'ambasciata. Andai in un hotel a Padova, era pieno di ragazze, aspettai ore, e alla fine mi fecero un colloquio in inglese piuttosto lungo.

Venni selezionata. Mi dissero che era una questione molto riservata, e che non potevano rivelare esattamente di cosa si trattasse. Se non fossi stata irrimediabilemente naive e con una testarda fiducia nella gente, avrei dovuto capire che qualcosa non andava. Ma la paga mi sembrava buona, era un solo giorno, e mi aggrappavo alla speranza che fosse un lavoro da potermi mettere sul curriculum.

Arrivato il giorno, mi dicono di presentarmi alla Fenice di Venezia con tailleur nero, camicia bianca, e scarpe basse. Stupita e sollevata per non dover usare i tacchi, mi incammio per le calli. Man mano che mi avvicino alla Fenice, ecco comparire sempre piu' polizia. Ad un certo punto mi bloccano, la zona e' chiusa. Mi trovo con altre ragazze che avevo visto al colloquio, e spieghiamo che stiamo lavorando per un'agenzia. I poliziotti vogliono un badge, noi non l'abbiamo e non ci vogliono far passare. Arriva trafelata la ragazza dell'agenzia, ci da' i badge e passiamo. E' tesa come una corda di violino e iniziamo a speculare su quello che ci aspettera'.

Arriviamo alla Fenice, siamo un gruppo di una decina di ragazze. Mentre la responsabile dell'agenzia inizia a spiegare cosa dobbiamo fare, ecco arrivare un secondo gruppo di una decina di giovani donne. Sono le ragazze piu' belle che abbia mai visto dal vivo. La piu' bassa mi supera di tutta la testa. la loro pelle e' liscia e levigata come la porcellana, i loro capelli cadono perfetti sulle spalle. Molte hanno un accento che intuisco essere dell'Europa dell'Est. Sono le modelle che devono accompagnare la cena. La responsabile dell'agenzia porta a noi dei panini da mangiare, alle modelle niente.

Mangiamo i panini scherzando sul fatto che a volte essere belle non e' un vantaggio. Le modelle vengono fatte accomodare nella stanza piu' interna della Fenice, mentre noi stiamo nei banchetti dell'atrio. Ci vengono fornite liste di nomi e badge da distribuire alla gente. Addocchiamo nomi conosciuti, e capiamo che e' qualcosa di piu' grosso di quanto ci aspettassimo.

Arrivano uomini della scorta. Guardie in borghese che noi accreditiamo ed entrano nella sala. Iniziano ad arrivare gli Arabi, alcuni con la kefiah in testa. Un uomo ci stringe la mano, in modo forzato, come a mostrarsi simpatico e affabile con il popolo. Io e le altre ragazze ci guardiamo e ci facciamo cenni di conferma: e' Scajola. In un mare di uomini che arriva ed entra in sala, compare una donna bellissima. Piu' bella ancora di tutte le modelle, e ci saluta gentile. E' Afef, al braccio di Tronchetti Provera. Vari politici di Lega e Forza Italia ci passano di fianco, e ormai il gioco tra me e le altre ragazze e' cercare di capire se lui ci sara' o meno. Si vocifera che stanno parlando di petrolio.

Finiamo di dare badge e di accreditare la gente. Gli ospiti piu' importanti non passano dal nostro banchetto, ma hanno un'entrata laterale. Inizia la cena, e noi ci mettiamo in attesa. Arriva la responsabile dell'agenzia, e ci dice che, appena finita la cena, dobbiamo entrare in sala a distribuire delle orride statuette in vetro di Murano agli ospiti. Dovrebbero entrare le piu' carine, ma la responsabile non osa scegliere, e cosi' decidiamo di entrare tutte, tanto piu' che ormai siamo diventate amiche e abbiamo la consapevolezza collettiva di non essere modelle. 

Si aprono le porte, ed entriamo quasi di soppiatto. Tra i tavoli imbanditi vediamo tutti. C'e' quello che in seguito avrei scoperto essere Al Thani, l'Emiro del Quatar. E c'e' Berlusconi, seduto al centro e sorridente come l'imperatore folle di un regno che non vuole ammettere di essere decaduto. La gente inizia ad alzarsi, passa di fianco a noi, che porgiamo le statuette nelle loro confezioni. 


Berlusconi ci si avvicina. Provo una sorta di brivido nel vedere quel suo sorriso plastico, come quello di un clown malefico. Capisco il perche' delle scarpe basse: anche solo dal mio metro e settanta, che mi permette appena di fare la hostess, riesco a vedergli il trapianto di capelli sulla cima della testa.

Ci guarda, una delle regazze gli porge incerta un pacchetto. Lui controlla di essere al centro dell'attenzione, e poi dice a voce alta, in modo che tutti sentano:

"Cosa mi date, ragazze? Un regalo? Perche' non mi date il numero di telefono, invece?"


A tutto questo e' seguito il silenzio. Nostro, suo, dei presenti in sala, di Al Thani e dei suoi soci ed interpreti, che spero non abbiano tradotto. Berlusconi si mette a ridere da solo, il re pazzo che non vede di essere patetico, e se ne va.

Ci siamo indignate, con le altre ragazze. Ne abbiamo parlato e abbiamo provato schifo per noi, per lui, per il periodo storico e il luogo in cui ci trovavamo ad essere giovani e donne. Come lo scrivo qui, a volte racconto quest'episodio in giro in mezzo alle altre storie da cene con amici sulle cose strane che mi succedono. E' quel piccolo sexual harassment da parte di Berlusconi che raccontero' ai miei nipoti come favola di tempi passati in cui la vita era tanto piu' dura. Non e' come essere seguita e terrorizzata da uno sconosciuto, non e' l'uomo che ti molesta sul bus, non e' una storia da mettere su facebook come #MeToo

Oppure, forse, lo e'. Ci stiamo tutti stupendo dal caso Weinstein. Ma cosa c'e' di diverso, qui? Berlusconi nel 2010 era al centro degli scandali di bunga bunga e prostitute. Gli interessava cosi' poco, era cosi' tronfio nel suo piedistallo di potere, che si poteva permettere di paventare in pubblico la sua maschera da maniaco, di vantarsi dei suoi approcci alle donne. Io e le altre ragazze non abbiamo subito nulla perche' non eravamo neanche alla sua altezza. Studentesse di lingue, lettere e filosofia di bellezza media, a caccia nel migliore dei casi di qualche soldo per l'Erasmus, a lui non potevamo davvero interessare. Ma cosa avranno risposto, le modelle che aveva pagato per allietare la sua cena? Avranno potuto rispondere con il silenzio? Che cosa avra' potuto rispondere Afef, all'inizio della sua carriera?

Ho letto questo articolo oggi che parla del fallimento del femminismo italiano. Sono d'accordo con l'articolo, non fosse che il femminismo italiano, forse, non e' mai neanche nato. Certo, c'erano le nostre madri che hanno fatto il 68'. Ma nel 2010 io e le altre ragazze che lavoravano con me avevamo passato tutta la nostra vita sotto Berlusconi. Nel 1994 approcciavamo la preadolescenza nel piu' maschilista dei mondi possibili. Siamo cresciute con le veline seminude in TV, con le palamentari che facevano carriera con favori sessuali. Abbiamo votato per la prima volta sperando di cambiare tutto, e non e' cambiato nulla. Iniziavamo a fare colloqui di lavoro in cui ci veniva chiesto se eravamo sposate e volevamo figli, e in cui vedevamo uomini passarci davanti. 

E in tutto questo ci veniva detto che le battaglie femministe erano finite e vinte, che dovevamo essere felici di avere tutte le possibilita'.

Salvo poi il presidente del consiglio usarci, in pubblico, per le sue squallide battute, perche' per lui solo quello eravamo: degli oggetti sessuali sui quali scherzare. 

Per cui no, il femminismo italiano non e' fallito con le donne che insultano Asia Argento invece di capire che il sistema e' malato: il femminismo italiano deve ancora scrollarsi di dosso tutte queste piccole storie tossiche che ognuna di noi si porta cucite addosso, e iniziare davvero a creare una societa' migliore.

Perche' lui non sara' piu' imperatore, ma ancora ci guarda dalla sua reggia, sussurrandoci che, forse, tutto cio' che possiamo offrire e' un numero di telefono.







domenica 22 ottobre 2017

e-Estonia e le salsicce umane

Una delle cose che mi piace del mio lavoro e’ che mi manda in posti inaspettati, dove magari di mio non andrei. Non perche’ non siano belli, ma perche' quando mai capita di andare a Tartu per i cavoli propri? Ed e' cosi' che sono finita in Estonia.

L'Estonia, e Tartu in specifico, mi ha molto affascinata perche' e' un Paese che da una parte ricorda il periodo sovietico (o meglio, "occupazione", come hanno insistito gli Estoni che ho incontrato), e a tratti e' pure un po' sgarrupato stile Scampia del Baltico

Questa e' la chiesa in centro a Tartu, che come notate non e' nuovissima
Casa storta, che manco a Pisa



Al contempo, l'Estonia e' tecnologicamente molto avanzata. Il bus che ho preso da Tallin a Tartu aveva schermino tipo aereo con cui si va su Google e si guarda Puss in Boots, e poi si usa il wi-fi per twittare la cosa. E il tutto per otto euro. L'Estonia ha una delle meglio connessioni Internet al mondo, e ha inventato SKYPE. Cioe’, senza l’Estonia noi saremmo qui ancora a farci le telefonate intercontinentali e io non potrei guardare Game of Thrones a distanza con il mio compagno, ci rendiamo conto? 

Per questo motivo l'Estonia viene chiamata e-Estonia, e questa cosa ha mandato me e i miei colleghi in brodo di giuggiole, visto che eravamo li' per una conferenza a tema Internet. Ovvero un posto dove nessuno parla e chiunque sta attaccato al proprio smartphone, ma dove, a differenza di quello che accade in altri contesti sociali, e' assolutamente accettato e anzi incoraggiato. 

Vorrei ora scrivere che la cosa che mi e' piaciuta di piu' dell'Estonia e' qualcosa di intellettuale o culturale, ma la verita' e' che e' stato il connettermi a Internet nei posti pubblici senza dover inserire il nome del cavallo di mia nonna e delle particelle del mio DNA per autenticarmi nei siti.

La seconda cosa che mi e' piaciuta e' stata la tradizione della sauna Finlandese. C’era una spa nel mio albergo, e io insomma, forse, magari, potrei aver saltato una sessione o due della conferenza per starmene a mollo nell’acqua calda. Ma solo per integrarmi con la cultura locale. E per sopravvivere al fatto che l’Estonia e’ per ora l’unico Paese che abbia visitato e che mi faccia sembrare la Germania calda.

Tartu e’ una citta’ studentesca con l’Universita’ piu’ antica del Paese. 

Universita' di Tartu


 Infatti proprio in centro c’e’ una statua di due studenti che si baciano, che erano il nipote dello scultore ed una tizia a caso che si stava limonando.

La statua dei due che limonano, giustamente con l'ombrello perche' l'Estonia non pare esattamente baciata dal sole


Oltre a pomiciare, gli studenti hanno anche la tradizione di attraversare un ponte. Il ponte, fatto chiaramente da Calatrava prima della laurea, ne sostituisce uno di pietra molto piu’ bello bombardato dai nazisti (sti crucchi, sempre). E voi direte, che difficolta’ c’e’ ad attraversarlo? C’e’, perche’ questi si arrampicano sull’arco superiore, che e' li solo a scopo estetico ed e’ strettissimo, scivoloso, e sempre ghiacciato, e rischiano di cadere in acqua morendo malissimo. Perche’, evidentemente, nonostante la tradizione del limonare, questi non c'hanno poi molto da fare. 

Il ponte che gli studenti attraversano rischiando di morire molto male


Arrivati alla conferenza, ci siamo subito precipitati sui gadget, che sono piu’ o meno il motivo principale per andare ai convegni dopo le saune negli alberghi e l’alcol gratis. Ci danno un portachiavi un po’ sfigato. E poi ci viene spiegato: in Estonia una legge vuole che la sera si mettano addosso delle cose riflettenti. Perche’ loro vogliono ad ogni costo che tu sia visibile al buio, probabilmente per meglio individuarti quando ti arrampichi sui ponti.

In Estonia e’ anche considerato molto scortese tenersi la giacca addosso all’interno degli edifici. Il che sarebbe molto piu' facile da seguire come norma se non ci fossero zero gradi in Ottobre. 

Inclusa nella conferenza c’era anche una serata con canti tipici Estoni. Sono arrivate quaranta donne che cantavano la versione baltica di “quel mazzolin di fiori” vestite con gonne di pannolenci grigio e dei nastrini rossi in testa. Una di loro ci ha spiegato il significato delle canzoni. La prima canzone parlava delle scelte difficili che deve fare una giovane donna nella vita: meglio cogliere una mela, o avere un uomo? (Non sapevo fino a questo momento che le due cose si escludessero a vicenda). Un’altra canzone si chiedeva: quando il suo amato le costruisce un’altalena, cosa deve dargli in cambio una giovane donna? (E io qui ho subito proposto la mela). Avrei voluto ridere a queste spiegazioni, ma il fatto che non riuscissi mai a capire quando gli Estoni stessero scherzando e quando fossero seri complicava orrendamente le cose. 

Poi, siamo stati portati ad un tour della citta’ fatta da due guide appassionate di folklore. Neanche le guide avevano una grande espressivita’ facciale o tantissima gioia di vivere, ma in compenso il loro logo e’ formato da due corvi neri e giravano con un corvo di peluche.

Ci hanno accolti dicendo che il tema principale del tour erano le “human sausages”. Io ho subito iniziato a pensare a dei doppi sensi e mi sono sentita un po’ infantile. Poi ho sentito le storie che ci raccontavano e ho rimpianto che “human sausage” non fosse uno squallido doppiosenso.

In compenso c’era un maiale.

Statua di un maiale in mezzo a Tartu


Nel tour non abbiamo visto quasi nulla, ma abbiamo preso tantissimo freddo e sentito diverse storie del periodo della seconda guerra mondiale, quando Tartu era occupata prima da Russi e poi da Tedeschi e arrivavano i rifugiati da Leningrado sotto assedio. Un periodo storico divertente, insomma. 

Le storie contemplavano 1) un fratello la cui sorella grassa viene rapita da dei medici che usano il grasso della gente per degli esperimenti. Il fratello trova la sorella in un forno con il grasso che cola, la salva ma lei poi non trova marito perche’ a quel tempo le persone andavano cicciotte. 2) Gente che non aveva cibo e allora in tutta Tartu c’era la leggenda metropolitana che esistevano delle fabbriche di salsicce umane (quindi esatto, non c’erano doppisensi). Nonostante sia logicamente impossibile che una citta’ in macerie avesse le risorse per fare delle fabbriche del genere, I Tartiani (Tarini? Tartariani?) ne sono convintissimi e si arrabbiano se metti in dubbio la cosa 3) C’erano questi rifugiati di Leningrado che erano chiamati bag boys perche’ possedevano solo quello che avevano in una borsa, che di solito contemplava una lametta con cui minacciare la gente per rubargli il cibo.

Tutto cio’ raccontato nel buio (e nessuno aveva il portachiavi riflettente, da buon branco di fuorilegge), nel freddo, e con il pupazzo di corvo ben in evidenza. E senza traccia apperente di humor. 

Poi la guida dice che nel periodo si mangiavano pure i gatti, e li spacciavano per conigli. Tutto il gruppo, che non aveva mosso ciglio all’idea delle salsicce fatte di persone, si sono indignati: ma come, mangiavano I GATTINI? D’altronde noi studiamo Internet, e i meme delle persone non sono mai particolarmente trending su Twitter.
Ad ogni modo ora mi adoperero’ per creare un gemellaggio Tartu-Vicenza.

La storia dei gattini ha risvegliato il gruppo dall'intorpimento e tutti si sono sentiti in dovere - guide Estoni incluse -di mettersi a parlare di quelle leggende metropolitane tipo il topo trovato nel pane di Tesco e i manici di ombrelli nella Nutella e lo sperma di toro nei panini del McDonald's.

Il tour e’ finito con il racconto delle mogli degli ufficiali Russi a Tartu che giravano per negozi e vedevano della lingerie di lusso, perche’ la moda a Tartu prima della guerra era meglio di quella Russa. Cosi’ queste signore si compravano delle camicie da notte e se le mettevano per uscire perche’ non sapevano fossero per dormire, e tutti le deridevano. Non vorrei sembrarvi russofoba, pero’ queste erano le nonne delle russe che mo vediamo fare shopping a Milano, qualcosa vorra’ dire.

Insomma, l’Estonia mi e’ molto piaciuta e mi ha regalato delle grandi perle. Ora vado a rannicchiarmi in un angolo nella calda Germania e lamentarmi del fatto che stasera non faro’ la sauna.

Tartu al tramonto






lunedì 16 ottobre 2017

Me, too

Ho visto tanti contatti sui miei social networks, uomini e donne, scrivere "#MeToo" sulle loro bacheche. Questo e' quello che ho postato io su Facebook:



In Italiano:

Ho esitato a postare questa cosa. Si, mi e' capitato di avere gente che mi urlasse cose per strada e sessismo al lavoro, ma ho pensato che non fosse abbastanza per scrivere "me, too". Ho pensato che, in qualche modo, fosse colpa mia.

Era colpa mia perche' a volte le mie gonne sono troppo corte, i miei tacchi troppo alti, le mie labbra troppo rosse e le mie magliette troppo strette. Perche' sono troppo amichevole, sorrido troppo, parlo troppo e non indosso un anello. Perche' mi piace ballare, bere, ridere, divertirmi, camminare da sola.

Era colpa mia perche' spesso non sono stata in grado di reagire quando la gente mi urlava cose per strada o mi infastidiva al lavoro. Sentivo che era sbagliao ma non ho mai avuto il coraggio di dire che era sbagliato. Mi sembrava solo un effetto collaterale che dovevo sopportare per essere considerata attraente, essere notata, acquisire un potere che altrimenti non sapevo come ottenere. 

E avevo paura che parlarne avrebbe reso tutto piu' reale, tutto piu' colpa mia. 

E nello scrivere queste parole capisco che non e' colpa mia. E che devo scrivere, come molte altre donne, "me, too".


Ho letto cose molto belle scritte da tanti miei contatti. Gente che faceva notare che anche gli uomini spesso, troppo spesso, subiscono abusi e per loro e' ancora piu' difficile parlarne che per le donne. Che tante vittime di traumi non posteranno un #MeToo perche' non riescono a parlarne, e non si puo' chiedere alla gente di condividere storie che non si sentono pronti a raccontare. Che e' giusto descrivere le proprie esperienze sui social networks ma bisognerebbe fare qualcosa di piu'.

Io mi chiedo spesso che cosa posso fare. E mi ritengo molto fortunata, perche', come scritto nel mio status di Facebook, non ho grandi traumi ma *piccole* orribili storie.

Mi ha fatto venire in mente un episodio che non riguarda nessuna molestia diretta per fortuna, e che avevo descritto qui. In breve, avevo notato che nel mio gruppo di lavoro le donne tendevano a non parlare, a intervenire poco, e la comversazione era sempre dominata dagli uomini. 

Dopo aver pubblicato quel post, ne ho parlato ad un piccolo meeting interno con colleghi, tre uomini ed una donna. La premessa e' che sono tutti persone molto intelligenti che non farebbero mai delle discriminazioni in modo diretto, quindi non ho nessuna intenzione di parlar male di loro, ma piu' che altro sono stata sorpresa da alcune delle loro reazioni quando ho detto che secondo me nel gruppo di lavoro non c'era parita' di genere. 

Uno mi ha dato ragione, e mi ha fatto molto piacere.

Uno si e' sorpreso e ha detto che non se n'era accorto, e che secondo lui non era un problema di genere, ma dipendeva dalle singole persone. Che, per carita', puo' pure darsi. Non e' che il patriarcato sia la colpa di tutto (per quanto ehi, di tanto si)

Uno ha detto che c'erano comunque delle discussioni interessanti e costruttive nel gruppo, specie grazie ad un professore uomo, che chiameremo il Troll.
Io ho fatto notare che, secondo me, il Troll era proprio il problema. E' un uomo estremamente intelligente, di una certa eta', ma che deve continuamente interrompere le persone, degradarle con commenti derisori, intervenire con opinioni non richieste. Va da se', che con le donne tende a farlo di piu'. Una persona cosi', ho detto io, non favorisce una bella atmosfera per lavorare, e non aiuta un rapporto equilibrato tra i generi.

Tutti i colleghi si sono stupiti. Ma come, il Troll e' cosi' famoso nel suo campo. Cosi' intelligente e, inevitabilmente, sarcastico e pieno di humor, hanno detto. Certo, un po' quella tendenza a contraddire gli altri. Praticamente avere come collaga Sgarbi con una dose di troppo di testosterone.

E poi l'unica collega donna presente al meeting ha detto, alla fine il Troll e' cosi' e non lo si cambia. E ha anche aggiunto, e' da anni che questi discorsi vanno avanti, sulla parita' di genere, ma guarda che gia' le cose sono migliorate tantissimo, non hai idea di come fosse dieci anni fa.

Ed e' quest'ultima cosa che mi fa pensare.
Certo, il Troll non molesta nessuna, ha "solo" un atteggiamento maschilista ed irrispettoso. Ma chi l'ha detto che gli uomini non si cambiano?

E certo, ora stiamo meglio di come stavamo prima. Votiamo, lavoriamo, ci candidiamo alle elezioni (e talvolta le perdiamo contro il re di tutti i Troll), ci mettiamo i pantaloni, siamo autonome ed indipendenti. 

Pero' poi, sulle bacheche dei social networks, andiamo a scrivere "#MeToo".

Forse gli uomini dobbiamo cambiarli
Forse il fatto che le cose vadano meglio non vuol dire che non dobbiamo fare di piu'.
Perche' se davvero e' un'esperienza che hanno tutte le donne al mondo, allora il mondo deve cambiare. 




martedì 10 ottobre 2017

Pirate Metal

A me sono sempre piaciuti i pirati.  Probabilmente perche' mi piace fare molte delle cose che nella pop culture si associano ai pirati: viaggiare, nuotare ai Caraibi, bere Mojito, parlare male della corona Inglese, passare del tempo con Johnny Depp, invocare il Kraken contro la gente che mi sta sulle scatole.

Oltretutto, nella storia ci sono state diverse piratesse donne che posso prendere a modello per una futura carriera, nel caso con l'universita' non funzioni. Ricordo quando stavo a Bruxelles di aver trovato un annuncio per lavorare come Pirate Advisor in Somalia, e tengo ben aperti gli occhi nel caso me ne capiti uno nuovo.

Insomma, essere un pirata e' bello, come spiega questa canzone:



Anche se vivo a Mordor e non ai Caraibi, ho trovato comunque diversi pirati anche in Germania. Per prima cosa, ovviamente, c'e' il Pirate Party, ovvero un partito politico che si basa sulla pirateria. E figurarsi se io non sono d'accordo. Sono soprattutto favorevole a piratare quelle riviste che per pubblicare non mi danno manco un soldo, ma anzi vogliono che io paghi per rendere accessibili i miei stessi articoli. Viva viva la pirateria digitale.

Foto fatta per strada, che dice "scegliete la protesta, no nazisti", e il tizio sembra il nerd che vive nell'appartamento sotto il vostro, pero' incazzato

Poi, in Germania sono andata per la prima volta ad un concerto Pirate Metal, genere qui popolare. E voi direte, che caspita e' il Pirate Metal? Proprio quello che sembra: gruppi (uso il plurale perche' si, ce n'e' piu' di uno) che fanno canzoni sui pirati.

Ora, io sono da dodici anni che sto con un metallaro ma non ero mai stata ad un concerto metal, un po' perche' non e' il mio genere, un po' perche' pure lui si e' tagliato i capelli e ripulito solo per questa cosa capitalista di essere assunto ai colloqui di lavoro. Anche se il giorno del concerto metal aveva un meeting con un tizio importante ed e' arrivato con il completo e le scarpe eleganti.

Come siamo entrati, abbiamo notato che tutti ci guardavano. Inaspettatamente, non perche' indossassimo dei cappelli da pirata e delle bende sull'occhio con i teschietti (anzi, un sacco di gente e' venuta a darmi il cinque e c'era anche un tizio con tutto un costume da pirata), ma per quello che indossavamo OLTRE i cappelli. Compagno, ovviamente, perche' stava vestito come il piccolo Lord in gita al fiume la domenica. Io, invece, non ho capito subito perche' suscitassi interesse.

Ci ho messo un attimo, ma poi ho afferrato: erano quasi tutti uomini. Un grande, gigantesco, enorme festival della salsiccia. Anzi, del currywurst. Le (poche) donne che c'erano erano tutte piu' grandi di me. Facciamo qui una digressione: io sono alta 170 centimetri e peso 60 chili, quindi non sono esattamente Memole che vive negli alberi. Pero' qui in Germania un po' mi sento cosi', specie a questo concerto dove tutte le ragazze erano delle valchirie bionde che sarebbero potute sedermici sopra e neanche accorgersi.

Quindi, tutti mi guardavano perche' ero praticamente la Puffetta del concerto. Io invece non guardavo nulla se non delle nuche sudate perche' ovviamente se le donne erano tutte il mio sargofago, gli uomini erano praticamente delle repliche del Grande Gigante Gentile, con in piu' barba lunga, capelli lunghi, e panza da birra.

Prima che il concerto iniziasse i tecnici del suono hanno iniziato a mettere musica pop anni 80, e credo che l'unico scopo fosse vedere i giganti barbuti canticchiare gli Spandau Ballet e prenderli per il sedere. 

Il concerto era di un gruppo scozzese che si chiama Alestorm. Il cantante e' arrivato sul palco vestito con un kilt, mentre il tastierista era piu' magro del mio braccio e piu' pallido della mozzarella che ho mangiato per pranzo, pero' cantava in growl. Il chitarrista mette like ai miei post su Instagram. In piu', sul palco stava una papera gigante. 

Papera gigante ad un concerto metal senza apparente ragione

Abbiamo quindi capito che non dovevamo sentirci intimiditi per il nostro aspetto. Nonostante cio' compagno e' andato a comprarsi una maglietta del gruppo con scritta la celebre strofa "We are here to drink your beer", diventando una versione molto piu' piccola di tutti i GGG presenti al concerto. Oltre a parlare di birre rubate, gli Alestorm parlano di pirati che vanno in vacanza in Messico, di pirati che bevono alcol, e di insulti generici.

Quando hanno iniziato a cantare mi sono messa a ballare felice come farebbe Puffetta ad un concerto di polka. Alla fine questi sul palco c'hanno una papera, non e' che le cose saranno mai troppo aggressive, o no? Invece alla prima nota tutti i Grandi Giganti Gentili si sono messi a pogare tra loro, mimando cosi' la celebre carica degli gnu del Re Leone. Io, chiaramente, mi sentivo una piccola pulce sulla criniera di Mustafa.

In pochi secondi i membri del pubblico sono passati ad essere dei Grandi Giganti Sudati e poi dei Grandi Giganti Senza Maglietta. Mi sono qui trovata ad affrontare un dilemma che non pensavo di dover mai pormi: meglio morire schiacciata tra due elefanti, o essere strusciata contro la pancia sudata e pelosa di uno di essi? In compenso , l'odore che aleggiava per la sala, tra birra e sudore, e' diventato quello che realisticamente ci si puo' aspettare dalla cambusa di Barbossa dopo sei mesi in mare. 

Ad un certo punto il cantante con il kilt ha annunciato che gli spettatori erano 666 (secondo me se l'e' inventato, ma spero di no) e ha invitato tutti a mettersi su due file. I Grandi Giganti Tedeschi hanno subito obbedito, eccitati di poter fare una fila. Poi, il cantante ha invitato le due file a spiaccicarsi l'una contro l'altra del mezzo della sala e mentre io pensavo "sviluppiamo delle zampette da geco per arrampicarmi sul soffitto", il mio compagno ha sentito l'anima metallara risvegliarsi dopo anni di sonnecchiamento e si e' buttato nel pogo. L'ho guardato scomparire tra due panze e ho pensato che non l'avrei mai piu' rivisto.

Invece e' riemerso, sostenendo che l'asticella degli occhiali era sbilenca gia' da prima. In compenso, alcuni dei Grandi Giganti Gentili hanno preso a salire sulle spalle dei loro compari e fare crowd surfing. Essi venivano portati direttamente sotto il palco dove l'uomo della security, che era un fan degli Alestorm, li intercettava. Costui era il grande re di tutti i Giganti, praticamente Wun Wun con i mammuth, e li prendeva in braccio come fossero stati dei fuscelli per rimetterli a terra.

Insomma, malgrado Giganti e sudore, sono uscita dal mio primo concerto metal con la voglia di farne subito un altro. E non dimentichero' mai lo sguardo della signora che si e' trovata sul bus con tutti noi che tornavamo dal concerto, e canticchiavamo "Piracy is a crime and crime doesn't pay, so we go home poor at the end of the day" 


E quindi niente, se non mi rinnovano il contratto di lavoro mi troverete con la mia temibile ciurma a depredare il fiume Ruhr. 

martedì 3 ottobre 2017

Riscrivere le nostre biografie

Oggi e' l'anniversario dell'unificazione della Germania. Questo significa che e' un giorno di vacanza, se solo in vacanza ci andassero pure le mie deadline e quella vocina nell'orecchio che mi sibila perennemente "You should be writing"

Ma non parliamo di me, parliamo della Germania. Perche', come gia' scrissi un anno fa, sono molto affascinata dalla vita in questo Paese prima che il muro cadesse, perche' mi sembra che sia tutto molto vicino nel tempo e nello spazio. Voglio dire, io avevo quattro anni e facevo la baby Carrie Bradshaw a New York quando il muro ancora era in piedi e divideva famiglie intere.


Per condire il post foto random di una grandissima band tedesca, Dschinghis Khan


Per questo motivo mi sono messa a guardare su Netflix due telefilm che consiglio a tutti coloro che vogliono guardarsi delle cose in Tedesco e non hanno voglia di farsi una dose di Hitler (ma comunque vogliono guardarsi cose pesanti e angoscianti, che sia mai diventiamo felici): Weissensee e Der Gleiche Himmel. Mi hanno preso cosi bene (dopo una certa dose di monnezza crucca) che li guardo anche se sono solo in Tedesco, con il risultato che non so chiedere "dov'e' il bagno", ma ora chiamo tutti "Genosse", "compagno". Carletto sarebbe fiero di me.

Da quando sono in Germania ho iniziato a conoscere gente che questa vita l'aveva vissuta, e non erano anziani partigiani di un'altra epoca, e' gente della mia eta' o poco piu' grande, che per qualche stranezza del destino e' nata dalla parte del muro che ora e' sbagliata.

Una mia collega, per esempio, mi ha fatto riflettere su una cosa. Nei miei telefilm di Netflix ovviamente ci sono i Tedeschi di Berlino Ovest che stanno da paura, si mettono i pantaloni a zampa e ascoltano Bob Dylan, mentre quelli della Berlino Est sono delle povere vittime che ad ogni starnuto sono messi in prigione e torturati e scavano dei tunnel con le unghie pur di avere un assaggio di capitalismo.

Pero' la mia collega mi ha detto, "finche' andavo a scuola, per noi il male era l'Ovest. Ci insegnavano che il nostro stile di vita era quello giusto. Poi all'improvviso ci e' stato chiesto di dimenticare tutto quello che avevamo imparato. E cosi' da un giorno all'altro il nostro nemico non era piu' un nemico, e abbiamo dovuto riscrivere le nostre biografie".

E li' mi sono fermata un attimo a pensare: la storia non e' mai neutra. La storia la scrivono i vincitori. E ha vinto l'Ovest, il suo stile di vita, e di conseguenza e' quello giusto. Pero' se avessero vinto dall'altro lato, ecco, ora saremmo tutti qui a disprezzare il consumismo e gli Americani (voglio dire, piu' di quanto gia' facciamo da quando hanno eletto il cavernicolo dalla faccia di plastica).

(Disclaimer: oh, voi lo sapete che c'ho il Manifest der Kommunistischen Partei appeso in sala, ma ora non venite a dire che Giupy vorrebbe i Gulag. Sono tanto felice di poter dire e scrivere tutte le cretinate che penso senza che il mio compagno di ufficio mi denunci e mi mandi al gabbio. Sono pure felice di avere i negozi di vestiti e i centri commerciali e i McDonald's, che mi fanno schifo, ma mi piace il scegliere di schifarli. La mia e' una riflessione su come si guarda la storia)

E cosi' la Germania Ovest, quasi trent'anni fa, ha accolto la sua meta' Est. E la Germania Est ha cambiato tutto. Si sono adattati bene?

Pare di si.
Tranne per quel problemino che, i colleghi mi spiegano, sono un tantino meno multiculturali di Bochum. Un tantino meno aperti di mente.

Che e' una sorta di eufemismo che uso in questo giorno di festa per indicare il fatto che la Germania Est pare sia un maledetto covo di gente di Pegida che vive in casermoni sovietici e si veste con i pantaloni di fustagno. Presente che nell'ultimo post mi lamentavo di tutti i fascisti in Germania?


Pero', si sono affrettati a dirmi i colleghi, la Germania Est non e' cosi' male se paragonata al MALE, la FECCIA, l'ONTA: la Baviera.
Ora, oltre che tempo di unificazione e' pure Oktoberfest, per cui la Baviera e' famosa. Io non ci sono mai stata, ma me l'immagino come un luogo di allegria, birra e vestiti scemi.

Invece, per qualche motivo, ogni volta che la nomino qui a Bochum da come reagisce la gente sembra che dica "SATANA SEISEISEI!". E da quello che mi e' stato detto, e' perche' sono molto Cattolici (e qui ho sorvolato sul fatto che io vengo dall'Italia, in provincia del Vaticano). E perche' un tempo erano poveri, ma ora si sono arricchiti, e sono rimasti un po' provinciali e un po' chiusi di mente. E poi qui mi dicono che la birra bavarese non si deve bere perche' va bene solo la Fiege, la birra locale. Che detto ad una celiaca e' proprio rilevante. 



Va da se che la gente che mi dice queste cose e' innamorata della regione di Bochum, la RuhrPott, che e' praticamente Mordor del Signore degli Anelli ma ha questa working class culture per cui tutti vanno a bersi le birre Fiege nei pub e si vogliono bene, non importa il colore della pelle o il credo o la classe sociale, basta bere e cantare.

Quindi con questo post, dico con gioia, viva la Germania, la Germania tutta intera (da leggersi con l'intonazione di De Gregori)





(Parlando della Germania Est ho anche scoperto perche', nonostante quello che noi ci si aspetti, in realta' molti Tedeschi che ho trovato a Berlino -e non solo -non parlano Inglese: nella Germania Est si studiava il Russo. Io non parlo il Russo, ma pare che sia addirittura piu' complicato del Tedesco, quindi un motivo in piu' per gioire del fatto che la storia e' andata com'e' andata...)