Una delle cose che mi piace della Germania e' la gender equality. Certo, non che in Germania vada tutto perfettamente (i colleghi per esempio mi dicono che la Svezia e' molto meglio), e sicuramente la mia e' un'esperienza limitata ad un certo ambito.
Per gender equality intendo che non mi e' mai sembrato, da quando sono arrivata, di essere mai stata percepita in modo diverso perche' donna. Lo stesso a Boulder: nessuno mi ha mai chiesto se ero sposata, se volessi avere figli, nessuno ha mai fatto un apprezzamento sul mio aspetto fisico sul luogo di lavoro, nessuno ha mai implicato che io potessi essere piu' emotiva/meno razionale/in qualche modo diversa da un uomo.
Questo, purtroppo, non succedeva quando ero a Bruxelles. Dove stavo in un ufficio quasi interamente femminile alle dipendenze di medici cinquantenni con evidenti manie di grandezza, una dose esagerata di testosterone, e la totale incapacita' di provare o manifestare qualsiasi forma di rispetto. Dalla mia superficiale conoscenza di Freud posso supporre che la maggior parte di loro avesse un pene molto piccolo, ma non ho modo di dimostrarlo.
All'epoca di Bruxelles mi sentivo generalmente bistrattata e umiliata (chi non lo sarebbe quando il viscidissimo capo francese ti chiama "Ma belle" durante una riunione di lavoro? Quando si e' continuamente trattati come le segretarie di Mad Man che, ricordiamo, e' ambientato nel 1961?), ma non avevo ancora ben chiari i meccanismi del PERCHE' tutto questo fosse sbagliato. Non si diventa femministi dall'oggi al domani, e' un meccanismo lungo.
Quando ho imparato la parola "mansplaining" ho capito un po' meglio certe dinamiche sociali che vanno finite.
Mansplaining sta ad indicare l'attitudine di un uomo che spiega una cosa ad una donna in modo paternalistico e condiscendente.
Per gender equality intendo che non mi e' mai sembrato, da quando sono arrivata, di essere mai stata percepita in modo diverso perche' donna. Lo stesso a Boulder: nessuno mi ha mai chiesto se ero sposata, se volessi avere figli, nessuno ha mai fatto un apprezzamento sul mio aspetto fisico sul luogo di lavoro, nessuno ha mai implicato che io potessi essere piu' emotiva/meno razionale/in qualche modo diversa da un uomo.
Questo, purtroppo, non succedeva quando ero a Bruxelles. Dove stavo in un ufficio quasi interamente femminile alle dipendenze di medici cinquantenni con evidenti manie di grandezza, una dose esagerata di testosterone, e la totale incapacita' di provare o manifestare qualsiasi forma di rispetto. Dalla mia superficiale conoscenza di Freud posso supporre che la maggior parte di loro avesse un pene molto piccolo, ma non ho modo di dimostrarlo.
All'epoca di Bruxelles mi sentivo generalmente bistrattata e umiliata (chi non lo sarebbe quando il viscidissimo capo francese ti chiama "Ma belle" durante una riunione di lavoro? Quando si e' continuamente trattati come le segretarie di Mad Man che, ricordiamo, e' ambientato nel 1961?), ma non avevo ancora ben chiari i meccanismi del PERCHE' tutto questo fosse sbagliato. Non si diventa femministi dall'oggi al domani, e' un meccanismo lungo.
Quando ho imparato la parola "mansplaining" ho capito un po' meglio certe dinamiche sociali che vanno finite.
Mansplaining sta ad indicare l'attitudine di un uomo che spiega una cosa ad una donna in modo paternalistico e condiscendente.
Dopo che ho imparato questo concetto mi sono venute in mente molte, molte, molte, molte situazioni in cui questa cosa era avvenuta, e in certi casi non me ne ero neanche accorta. Perche' si, per quanto io sia cresciuta con persone mentalmente aperte e dalle ampie vedute, ho passato molti dei miei anni migliori a pensare che potevo tutto sommato essere irrazionale perche' ho il ciclo, che approfittarsi un po' del proprio aspetto fisico va piu' che bene, che le donne siano piu' portate per certi campi e meno per altri, come la scienza.
D'altronde sono cresciuta con il femminismo delle nostre madri, quel "abbiamo fatto il 68 cosi' tu ora ti puoi mettere la minigonna e truccarti a scuola". Il che non e' sbagliato. Hanno solo dimenticato che quando mi metto la minigonna e vengo apotrofata per strada/molestata/violentata e' ancora considerata colpa mia. Sara' che erano troppo occupate a spiegare alle Musulmane che, dal momento che noi abbiamo conquistato la liberta' di metterci la gonna corta, loro non dovrebbero avere quella di mettersi il velo.
Faro' un esempio concreto di Giupy&il mansplaining usando come soggetto il mio relatore di quando studiavo in Italia (si, il relatore di cui avevo parlato male in un blog che lui ha trovato e cosi' ehi, sono emigrata in America. Ma leggendo questo episodio si capira' che non tutto il male viene per nuocere, pure se devo starmene a Bochum anziche' a Venezia a bermi lo Spritz sui canali).
Quest'uomo mi affascinava per la sua conoscenza, e ricordo che pendevo sempre dalle sue labbra ad ogni lezione. Erano tempi beati in cui la sua totale mancanza di pubblicazioni recenti mi sembrava cosi' irrilevante davanti alla sua immensa cultura e a tutte le sue esperienze di vita.
Un giorno, parlando della cultura tradizionale del Giappone, costui ha detto che le donne quando avevano il ciclo mestruale venivano allontanate dal villaggio perche' considerate impure. Cosa che ha fatto corrugare la fronte a qualche studente. Lui allora si e' affrettato nel suo mansplaining: lui SAPEVA infatti che per le donne questa non era una cosa negativa. Anzi, le donne ne erano CONTENTE. Perche' cosi' si potevano riposare e fare gossip tra loro. Ricordo ancora il suo sorriso serafico che mi ha fatto pensare che dovesse essere vero, che non fosse una pratica sbagliata o degradante, e che fosse perfettamente legittimo per un uomo bianco dare un giudizio morale ed etico totalmente infondato su una pratica che riguarda donne asiatiche.
Quando il mio professore ha detto questa cosa, quindi, il mio io femminista non ha cercato di gettarsi da nessun burrone. Anzi, gli ho chiesto di poter fare la tesi con lui e ho passato dieci pazienti mesi ad idolatrarlo, a seguire ogni sua parola, a cercare di far si che lui considerasse il mio lavoro interessante. Spoiler alert: non e' andata bene. Sono arrivata alla fine della tesi assolutamente privata di autostima, con lui che non solo non mi ha offerto nessun posto di dottorato a Venezia ma che ha confessato di dubitare che io fossi in grado di farne uno.
Cosa dobbiamo fare, quindi, contro il mansplaining? Prima di tutto, riconoscerlo. Poi, capire che non dobbiamo essere messe in soggezione da uomini che ci trattano in modo inferiore, ma far valere le nostre ragioni. In ultimo, non scegliere un uomo che ti tratta come un essere inferiore come relatore per la tesi specialistica.
Ovviamente poi ci sono le soluzioni piu' drastiche:
Guardare qui per la mia scena preferita in assoluto di GOT, nonche' reazione che nella mia mente ho al mansplaining
Per la cronaca, io ho fatto tutto un PhD per dimostrare al mio professore che si sbagliava. E' ora lui convinto che io valga qualcosa? Non credo. Non riusciva a ricordarsi il mio nome neanche quando andavo tutte le settimane da lui a ricevimento, dubito che gli interessi anche solo vagamente della mia vita. Pero' gli ho scritto, quando sono stata accettata a Boulder, per ringraziarlo. Perche' si, non mi avesse fatto credere che non valevo nulla, non avrei avuto tutta questa smania di riscatto che mi ha portata a fare un dottorato in un centro conosciuto con professori famosi. E forse ora sarei pure un po' meno femminista. Quindi si, pure le persone che lasciano una traccia negativa, alla fine, qualcosa di positivo ce lo portano.
Senza contare che ehi, non sto a Venezia e non mi bevo gli Spritz. Pero' almeno sto in Germania dove, per quanto ne so, non chiedono ai colloqui di lavoro quanti anni hai e se sei sposata perche' cosi' possono decidere di non assumerti.
Puoi vedere se il tuo relatore mansplainingante è qui http://allmalepanels.tumblr.com/
RispondiElimina;)
non c'e' ma potrebbe esserci XD
EliminaComunque se ti può interessare il tuo relatore tra due anni se ne va in pensione ;) (= torna a Venezia Pico!!)
RispondiEliminaHo sentito! Ma visto come vanno le cose la vedo dura tornare...
Eliminala sensazione è che tu annulli i generi ma difendendone uno ne riabiliti la diversità. l'equità di genere è condizione diversa dalla diversità normalmente esistente in natura tra generi La condizione culturale non annulla la nostra identità animale. forse il tuo articolo rientra in un stereotipo che potrei definire con il termine ladysplain
RispondiEliminaIl sesso (che è effettivamente una cosa che ci differenzia tra uomini e donne) non è però la stessa cosa del genere. Il genere e' soprattutto un construtto sociale.
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